Uno dei più significativi recenti interventi del Legislatore del rito, accompagnato da un sostanzioso contributo giurisprudenziale di merito, ha inteso rinvigorire la norma di cui all’art. 115 c.p.c., valorizzando il cosiddetto principio della non contestazione.
Il fine ultimo è chiaro. Dare un senso preciso all’onere della prova e eliminare la zona grigia del fatto non provato, ma affermato e, parimenti, incontestato.
Fatto asserito e non contestato è fatto provato.
Affermare significa provare ove non si contesti il fatto.
Occorre evitare una zona grigia, ove l’interpretazione della condotta processuale divenga ulteriore pondus per la decisione del Giudice.
Ma, l’abuso immediato di tale istituto rivisitato ha subito condotto a ritenere teorie e argomentazioni equiparabili a fatti storici, incidendo sull’onere della prova.
Il principio attiene invece solo a fatti storici, non ad argomentazioni, tesi, teorie, deduzioni.
Il fatto storico, chiaro, circoscritto nel tempo e nel luogo, deve aver carattere di massima oggettività, prescindendo da ogni opinione e da ogni commento soggettivo.
Se si dice che il 15.1.2017 Tizio transitò per via Carducci a Milano, si riferisce un fatto. Vero o non vero.
Se si dice che quel tal giorno la temperatura era mite, già si esprime un giudizio.
Inoltre, il soggetto rispetto al quale si afferma il verificarsi di un fatto deve essere nelle condizioni di poterlo smentire o riconoscere, per avervi assistito o essere stato direttamente coinvolto.
Deve, inoltre, intrattenere con chi lo afferma un rapporto processuale diretto. Tale, ad esempio, non è mai l’assicuratore R.C. (non R.C. auto) rispetto al danneggiato. In tal caso, non è mai nella disponibilità logica e giuridica dello assicuratore affermare, riconoscere o negare un fatto a cui non ha potuto partecipare, non avendo rapporti diretti con il danneggiato, essendo estraneo al rapporto tra quest’ultimo e l’assicurato (Cass. Civ., Sez. III 25.02.21 n. 5259).
A fare chiarezza è intervenuta di recente la Suprema Corte.
La Prima Sezione, con ordinanza 4.01.23 n. 143 ha chiarito che: “Il principio di non contestazione non può operare in presenza di deduzioni del convenuto che si pongano in contrasto logico con le allegazioni che l’attore continui a porre fondamento della propria domanda, giacché, in tali ipotesi, la contestazione è insita nel mantenimento di quell’assetto difensivo: assetto che esclude, in sé, la natura pacifica delle richiamate deduzioni.
(Nel caso in esame, ha osservato la Suprema Corte, la banca ricorrente, attrice in senso sostanziale, aveva basato la propria pretesa sugli estratti conto, siccome non contestati, con ciò assumendo che le partite ivi registrate concernessero operazioni imputabili alla società correntista, tesi, questa, chiaramente inconciliabile con l’affermata estraneità della detta società alle vicende che portarono al rilascio e al successivo incasso degli assegni)”.
Soccorre un principio logico: non occorre contestare le tesi avverse, quando si sia già affermato un fatto in contrasto con detta tesi difensiva.
Ancor più icasticamente chiara appare la Suprema Corte (Sez. III ord. 26.06.2023 n. 18221) nello affermare che: “Il principio di non contestazione, di cui all’articolo 115 Cpc, opera soltanto in relazione ai fatti allegati dalla parte e non pure rispetto ai documenti o alle conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti” (M. Fin).
Fatti, non mere deduzioni. Ciò che ha genesi soggettiva non è soggetto all’onere di non contestazione.
Che si tratti solo di fatti lo ha confermato anche la Corte di Appello di Firenze del 26-31/05/23, n. 1173, est. Nicoletti, nello affermare: “Il convenuto, ai sensi dell’articolo 167 del Cpc, é tenuto, anche anteriormente alla formale introduzione del principio di “non contestazione” a seguito della modifica dell’articolo 115 del Cpc, a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la par-t9, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica. Tale onere gravante sul convenuto si coordina, peraltro, con quello di allegazione dei fatti di causa che incombe sull’attore, sicché la mancata allegazione puntuale dei fatti costitutivi, modificativi o estintivi rispetto ai quali opera il principio di non contestazione esonera il convenuto, che abbia genericamente negato il fatto altrettanto genericamente allegato, dall’onere di compiere una contestazione circostanziata. Tuttavia, il convenuto, a fronte di una allegazione da parte dell’attore chiara ed articolata in punto di fatto, ha appunto, come detto, l’onere ai sensi del richiamato articolo 167 del Cpc di prendere posizione in modo analitico sulle circostanze di cui intenda contestare la veridicità e, se non lo fa, i fatti dedotti dall’attore debbono ritenersi non contestati, per i fini di cui all’articolo 115 del Cpc (Nel caso di specie, nel ritenere incensurabile la sentenza impugnata che, rigettando l’opposizione, aveva confermato il decreto ingiuntivo opposto, la corte territoriale ha ritenuto che correttamente il giudice di prime cure avesse concluso che le difese di parte opponente, così come formalizzate, implicassero la non contestazione dei fatti allegati dalla banca opposta, la quale era pertanto esonerata dal relativo onere della prova)”, precisando, poi, con evidente finalità di sgravare di compiti interpretativi la Suprema Corte stessa (Cass. Civ., Sez. II ord. 26.04.23 n. 10919): “L’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione. Ne consegue che, ove il giudice abbia ritenuto contestato uno specifico fatto e, in assenza di ogni tempestiva deduzione al riguardo, abbia proceduto all’ammissione e al conseguente espletamento di un mezzo istruttorio in ordine all’accertamento del fatto stesso, la successiva allegazione di parte, diretta a far valere l’altrui pregressa non contestazione, divenuta inammissibile”.
Chiarissimi i limiti del principio esposti da Cass. Civ., Sez. II ord. 26.04.23 n. 10941: “Il principio, sancito dall’articolo 115, comma 1, del Cpc secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge imponeva la forma scritta ad substantiam, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto; può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte”. (M.Fin.)
Corollari ne sono Cass. Civ., Sez. III, ord. 17.01.22 n. 1154, che afferma: “Con riguardo al novellato articolo 115 Cpc (ma il principio di non contestazione era implicito nell’ordinamento anche prima di tale esplicitazione legislativa), spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, la esistenza e il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte e tale accertamento è sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione, nei limiti in cui lo stesso sia tuttora denunciabile, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, del Cpc novellato”.
Parimenti (Cass. Civ., Sez. I ord. 14.1.22 n. 1072) si è letto che: “Il principio, sancito dall’articolo 115, del codice di procedura civile, secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta ad substantiam, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale”.
Viene, dunque, finalmente posto un limite ad una interpretazione lata e capziosa di un principio che, nella mente del Legislatore, aveva comunque una portata circoscritta a fatti ben individuati, senza intendere con ciò sovvertire il principio generale dell’onere della prova, regolato dal primo e dal secondo comma dell’art. 2697 c.c.
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